di Massimo Serafini, su Aprile del 10 dicembre 2007
Centoquindicimila fra soci e sostenitori; trentamila le classi che partecipano alle iniziative di educazione ambientale; più di mille i gruppi locali; avvocati impegnati nei centri di azione giuridica, quattrocento campi di volontariato e cinquanta i gruppi di protezione civile; ventidue le edizioni di goletta verde e diciotto quelle del treno e di festambiente; quattordici le edizioni di puliamo il mondo, ed infine decine di progetti di cooperazione nell'ambito di clima e povertà.
Sono queste le cifre più importanti che Legambiente ha portato al suo ottavo congresso, a cui, per completare, si dovrebbero aggiungere anche le tante feste dell'albero, spiagge pulite, mal-aria, cento strade per giocare. Tutto ciò fa di Legambiente la principale associazione ambientalista italiana. Eppure, tutti i principali giornali italiani hanno volutamente ignorato la discussione congressuale, dimostrando ancora una volta la loro totale incapacità a leggere ciò che nella società si muove.
Quelli che ne hanno parlato, come il Manifesto, lo hanno fatto esclusivamente per riferire ciò che gli ospiti politici avevano detto, liquidando Legambiente in base dell'applausometro: una associazione divisa a metà fra Veltroni, cioè il Pd e Vendola, cioè la sinistra. La realtà di cui nessuno parla è quella invece emersa nei tanti interventi congressuali e cioè di una realtà ben radicata nel territorio e soprattutto presente nei conflitti ambientali più importanti, dalla Val di Susa ai beni comuni, in particolare l'acqua, dall'abusivismo ed occupazione del territorio, alla lotta alle ecomafie e all'illegalità diffusa.
Certo molti, dopo la scelta dei massimi dirigenti dell'associazione di spendersi nel partito democratico e di farlo in ruoli di primissimo piano, avevano pensato che da questo congresso sarebbe uscita una Legambiente collaterale e subalterna al Pd. Ed invece sono stati smentiti.
L'autonomia della associazione non solo è stato il filo conduttore di quasi tutti gli interventi, ma si è materializzata nel ricambio di tutte le principali cariche associative, dal presidente al direttore generale. Vittorio Cogliati è il nuovo presidente e Rossella Muroni la direttrice, due persone che hanno maturato l'intera loro esperienza politica e sociale nella costruzione di Legambiente. La soddisfazione per il buon stato di salute dell'associazione non ha impedito che tutto il congresso percepisse anche l'inadeguatezza di ciò che è stato costruito, in questi anni, di fronte alla tragedia climatica ed ambientale. Inadeguatezza in primo luogo politica. Quasi tutti gli interventi hanno evidenziato il nanismo politico dell'associazione e cioè la scarsa capacita di incidere e contaminare la politica e quindi di innovarla, programmaticamente, indirizzandone le scelte verso la sostenibilità e soprattutto nella fisionomia ed ispirazione, cioè facendole recuperare il senso di missione e l'ancoraggio agli interessi generali e non ai comitati d'affari.
Il dibattito congressuale ha indicato, quasi unanimemente, che per superare questo nanismo politico la medicina migliore non può che essere quella di aumentare la capacità di conflitto e radicamento nel territorio, dicendo tutti gli opportuni no e costruendo con le popolazioni i si che servono per costruire un futuro durevole e sostenibile.
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